AREA PSICO EMOTIVA
AREA PSICO EMOTIVA
In questa pagina metteremo a disposizione articoli di approfondimento su vari temi relativi al benessere psico emotivo e alla crescita personale. Si parlerà di comportamento e carattere umano, strategie adattive, difficoltà di regolazione emotiva, approccio al cambiamento, mindfulness, sviluppo del potenziale, prevenzione e riabilitazione psico-educativa, e non solo. A ciò aggiungeremo anche delle storie di vita e testimonianze che ti ispireranno a prenderti cura della tua mente e del tuo corpo.
Lasciar andare è
Un grande atto di coraggio
La strada per la libertà
Un modo sano per dare un senso al nostro passato e al nostro futuro
Lasciar andare è
Coltivare i semi per le generazioni che verranno
Per comprendere il vero meccanismo struggente e meraviglioso della vita
Lasciar andare è
Insegnare a i nostri figli il piacere della conquista,
quanto la gioia e la sensatezza della resa
Concederci la pienezza di un giorno vuoto di aspettative,
pieno del nostro semplice, puro e fermo sentire
Lasciar andare è
Addestrare le nostre anime alla capacità di poter essere felici e pieni ovunque ma soprattutto nelle condizioni avverse.
Lasciar andare è
Accettare con consapevolezza l’idea che dobbiamo onorare il nostro oggi con gioia e pienezza, senza il timore di disonorare ciò che è stato e sarà
Le nostre azioni quotidiane sono caratterizzate da una sequenza di comportamenti ripetitivi che incidono sul nostro benessere e sulla nostra crescita personale.
Queste sequenze ripetitive generano dei veri e propri cicli che, a seconda della intenzione manifestata nel volerle compiere, possono determinare 3 dinamiche differenti, con differenti conseguenze psico fisiche.
Come schematizzato nella grafica accanto, andiamo ad analizzare queste 3 dinamiche:
CICLO ABITUDINE: Ci vede invischiati in una spirale che mette in campo quasi sempre gli stessi step, le stesse sequenze, senza alcuno sforzo cognitivo. Il corpo risponde automaticamente come se avesse un pilota automatico. Una volta ricevuto un input, ad esempio quando suona la sveglia al mattino, gli step successivi partono da sé: ci alziamo, apriamo le finestre, ci rechiamo in bagno quasi ad occhi chiusi,....deambuliamo fino alla cucina.....caffè...etc. Questi step, messi in atto per mesi o anche anni, ci consentono di ricevere una gratificazione funzionale soggettiva (ricompensa), ad esempio arrivare puntuali alla fermata e quindi al lavoro. Il ciclo dell'Abitudine comporta un agito quasi privo di un pensiero cosciente, e a lungo andare evolve in uno stato generale di debolezza e di stanchezza mentale immotivata che diventa anche muscolare.
CICLO ROUTINE: Rispetto al precedente, sebbene anch'esso rappresentato da azioni regolari e ripetute, è una condizione che necessita della costruzione di un pensiero e soprattutto di un trigger emotivo, ovvero di un input innescato dalla volontà soggettiva. Io scelgo, decido, voglio mettere in atto un agito che è una sequenza ma non risponde ad uno schema predefinito. Nella grafica il ciclo della routine rispetto all'abitudine introduce dei punti di rottura che corrispondono a variazioni creative-emotive-personali al termine delle quali posso scegliere se procedere sperimentando altre variazioni o magari decidere di interrompere il ciclo.
CICLO RITUALE: Rappresenta la dinamica ideale che può essere raggiunta dopo tempo, sforzo e perseveranza. Il passaggio dalla routine all'esperienza rituale è un processo il cui obiettivo è disinnescare gli automatismi e stimolare il pensiero divergente, ovvero quello che sviluppa lo spirito critico, il problem solving, la creatività e l'intelligenza emotiva. Sebbene il passaggio dall'abitudine alla routine si arricchisca della volontà e della gratificazione che deriva inserendo piccoli cambiamenti, l' obiettivo di entrambi resta quello di portare a termine una azione fine a se stessa.
Nel rituale invece (non inteso necessariamente come religioso) la sequenza consapevole del nostro comportamento non persegue la volontà di portare a termine una azione specifica ma di vivere una esperienza nella sua pienezza. Essere presenti a se stessi, vivendo delle attività quotidiane, anche le più "banali", come ad esempio una doccia, un pasto, una passeggiata nel parco si trasformano in occasioni per prestare attenzione a tutte le emozioni percepite attraverso i sensi, a farle proprie e a beneficiarne caricandoci di pura energia.
AREA INTERCULTURALE
Testimonianze di migranti - Raccolta di Medici senza Frontiere
(A protezione dell’identità delle persone non è stato usato il loro vero nome)
ABDOUL, 42, Niger, In Libia lavoravo come autista. Il mio datore di lavoro è fuggito quando è scoppiato il conflitto. Una mattina, stavo andando a lavoro e ho visto alcuni uomini armati. Mi hanno minacciato. Ho dovuto lasciare la casa. Ho mandato mia moglie e i miei due figli in Niger ma non sono riuscito a raggiungerli. Sono rimasto lì, bloccato nel bel mezzo della guerra. Sono salito sulla barca perché temevo di morire. Non ho dovuto pagare. Sapevo che la morte ci avrebbe potuto cogliere in qualsiasi momento del viaggio. Non sapevo di essere diretto in Italia.
In Niger, non c’è più niente per me. I miei genitori sono morti tempo fa, si rischia di essere vittima degli scontri tra i contadini e allevatori e io non ho né terra né bestiame. Ho lasciato il mio paese 10 anni fa e ormai non lo conosco più. Da quando sono arrivato a Mineo, non faccio altro che camminare in circolo. Sembra di essere in carcere. Per due mesi ci hanno detto che avremmo dovuto ricevere i documenti ma non è successo nulla.
Il tempo passa e io non so nemmeno se la mia famiglia riesce a sfamarsi e può sopravvivere senza di me. Non posso smettere di pensare a loro e questo mi fa stare male. A volte sono talmente preoccupato che non riesco a mangiare. Vorrei restare in Italia, lavorare e prendermi cura della mia famiglia proprio come facevo prima che la guerra scoppiasse.
OMAR dal Niger Omar è un fratello del Niger. Veniamo dallo stesso paese. L’ho incontrato nel centro. Facciamo sempre gruppo con gli altri nigeriani, cercando di sostenerci a vicenda.
Diversamente da altri, era spesso triste e si sentiva in carcere. Non stava bene e passava la maggior parte del tempo a dormire.
Una mattina i miei amici mi hanno detto che aveva lasciato il centro senza salutare. Ha lasciato i suoi effetti personali per affrontare l’ignoto.
Non abbiamo più saputo nulla di lui. Siamo preoccupati.
AKIN, 34, Nigeria Ho lasciato la Nigeria e mi sono spostato da un posto ad un altro. Da quel momento la situazione è solo peggiorata. Ma sopravvivo, sono un sopravvissuto. Ho visto molte cose. Sono stato in Niger. Ho incontrato molti nigeriani lungo la strada verso Libia e mi sono unito a loro.
In Libia ho iniziato una nuova vita pensando di essermi lasciato i problemi alle spalle. Non mi andava troppo male. Sopravvivevo, vivevo. Poi è iniziata la guerra.
Ho pensato fosse il momento di fuggire di nuovo. Laggiù eravamo considerati delle armi. Sono stato portato in un luogo chiuso, insieme ad altre persone. Volevano usarci come mercenari. Sono fuggito nella notte insieme ad altre 3 persone. Ci avevano messo in un posto dove non pensavano saremmo sopravvissuti ma siamo riusciti a scappare attraverso una piccola via di fuga.
La barca era la nostra unica possibilità di scampare alla morte.
Quando siamo stati tratti in salvo ci hanno detto “Benvenuti in Italia”. In quel momento mi sono sentito nuovamente vivo. Ci hanno chiesto cose come “Stai bene?” “Hai caldo?” Poi ci hanno trasferito a Mineo attraverso una grande nave. A Mineo tutti i giorni sono uguali. Non abbiamo accesso a nessuna informazione, non c’è nulla che ci tenga occupati. Mi chiedo perchè sono vivo oggi. Se dovessi morire, nessuno piangerebbe la mia morte. E se sopravvivrò sarò l’unico a rallegrarsene.
A Mineo stiamo bene. Dormiamo, ci alziamo e mangiamo 3 volte al giorno. Stiamo bene ma non sappiamo cosa accadrà dopo. Stiamo solo qui.
Il mio futuro comincerà di nuovo quando sarò in grado di pensare “voglio fare questo o quello”, ma per il momento non lo so.
Ho molte cose in mente e vorrei essere in grado di raccontarle.
MISS, 27, Nigeria In Libia le cose andavano bene. Lavoravo come donna delle pulizie e avevo uno stipendio fino a quando non è scoppiata la guerra . Da quel momento la situazione è diventata terribile. Abbiamo deciso di abbandonare il paese con la barca. Non si poteva nemmeno camminare per strada perchè uomini armati ti sparavano. Rimanere là significava rischiare la vita.
Siamo dovuti partire. Appena salita in barca ho avuto paura. Tutto quello che potevo fare era pregare.
Nella barca c’erano donne incinte e madri con bambini. È stato terribile. Non avevo mai vissuto una cosa simile prima. Per 3 notti non abbiamo avuto nulla da bere o da mangiare. Nulla. Non sapevamo di essere diretti a Lampedusa e l’ultima notte siamo stati soccorsi dagli elicotteri.
Nessuno è morto tranne chi in preda alla confusione, si è gettato in mare da solo. Avevano perso la speranza e non c’è stato niente da fare. La vita di tutti i giorni a Mineo… non è una bella vita.
Non so neanche cosa dire… abbiamo supplicato il governo italiano di aiutarci.
Vogliamo solo lasciare il campo e lavorare per conto nostro. Il mio sogno è quello di essere lasciata libera dal governo italiano di uscire di qui, lavorare e pagare le tasse. Voglio realizzare qualcosa.
JEANNETTE, 42, Congo Le bombe stavano distruggendo case e palazzi, per questo siamo fuggiti e abbiamo trovato rifugio in una piantagione. Siamo stati lì per un po’ di tempo. Non c’era nulla da mangiare. Abbiamo sofferto molto. Il mio datore di lavoro ci ha portati alla barca.
Eravamo sotto la minaccia di coltelli e pistole.
Alcune persone continuavano a ripetere “Perchè siete qui? Perchè non volete andar via?” Quando è iniziata la guerra, i bambini non potevano più uscire di casa dopo la scuola.
Eravamo prigionieri in casa tutto il tempo.
Il viaggio in mare è stato terrificante. La barca sembrava in balia delle onde. Ognuno pregava il proprio Dio, l’odore del mare dava il voltastomaco…terribile.
Non sapevo di essere diretta in Italia. Inizialmente non volevo rischiare lasciando la Libia con i miei bambini ma il mio datore di lavoro ci ha consigliato di andare via conducendoci alla barca.
Vivere in Libia non era più possibile.
ABDUL, 23 anni, Costa d’Avorio
Ho passato quasi 5 mesi in prigione. Sono stato picchiato tutti i giorni.
Per 3 settimane non sono riuscito ad alzarmi in piedi.
Soffro ancora per le ferite.
Ho dovuto seppellire 7 persone, incluse 3 ragazze incinte.
Se non lo fai, vieni gettato vivo nella fossa insieme ai corpi.
ELIAS, 23 anni, Etiopia (Uno dei 9 sopravvissuti di un piccolo peschereccio che ha tentato di attraversare il Mediterraneo con 72 passeggeri a bordo).
Quando la NATO ha iniziato a bombardare Tripoli non ho avuto altra scelta che fuggire di nuovo.
Sono stato a Shousha per un mese, dove posso andare?
Non posso tornare nel mio paese e non posso vivere in questo deserto.
Questa è la nostra vita: siamo giovani e arenati qui senza far nulla.
Proverò di nuovo ad attraversare il Mediterraneo.